lunedì 13 aprile 2009

C'è un tempo per ogni cosa

Quando sei giovane sei giovane, e se ti va di dire o fare una cosa, la dici o la fai, punto e basta.
Man mano che cresci, che diventi una persona, come si dice, “matura”, impari che c’è un tempo per ogni cosa.
C’è un tempo per scherzare ed un tempo per essere seri; uno per lavorare ed uno per rilassarsi o divertirsi; uno per piangere ed uno per ridere;uno per avere pazienza ed uno per incavolarsi.
Sì, c’è proprio un tempo per tutto.
Che tempo era, per il nostro Paese, la settimana scorsa, dopo che un terremoto devastante ha messo in ginocchio L’Aquila ed i suoi dintorni, con centinaia di morti e feriti, intere contrade rase al suolo, decine di migliaia di sfollati, alcune decine di persone disperse?
Era il tempo dei soccorsi, del lavoro a testa bassa per tirare fuori i superstiti intrappolati; estrarre i morti dalle macerie ; ricoverare gli sfollati; curare i feriti; soccorrere i più deboli. Abbiamo sentito dire: scaveremo fino a Pasqua, perché c’è ancora speranza dopo cinque-sei giorni di trovare qualche superstite. Venerdì ci sono stati i funerali di gran parte delle vittime, e mentre si celebravano le esequie, poco distante venivano recuperati altri corpi. Hanno continuato a scavare, fino a quando la conta finale si è fermata a 293 morti e di dispersi non ce n’erano più.
Con l’ultimo morto estratto dalle macerie, è finito il primo tempo di questa tragedia abruzzese ed italiana.
C’è un tempo per tutto. Ora che la conta dei morti è finita, che la prima emergenza è passata, il Paese può rialzare la testa da quelle macerie e cominciare a ragionare ed a porsi domande, a sviscerare dubbi a cercare risposte, a polemizzare se è necessario.
Sta innanzi tutto qui, in questo clamoroso errore sulla scelta dei tempi, lo sbaglio principale di Michele Santoro e della sua trasmissione “Annozero”, andata in onda giovedì di Pasqua e tutta costruita attorno alla necessità di mettere nel mirino da un lato il sistema della Protezione civile italiana, e dall’altro le collusioni affaristico-politiche che da sempre alimentano la devastazione del Belpaese.
Personalmente ritengo quella trasmissione ( intitolata “Resurrezione”) una delle peggiori performance di Santoro dal punto di vista prettamente giornalistico, e tuttavia – al di là delle opinioni che ciascuno di noi può avere sul contenuto della trasmissione – ciò che mi ha scioccato quella sera stessa, mentre la guadavo in diretta, è stata proprio la tempistica: ma come è possibile, mi domandavo, che si apra una polemica così dura contro la Protezione civile, mentre ancora la stessa Protezione civile è impegnata allo spasimo nei primi soccorsi?
Quando c’è una guerra, prima si combatte il nemico, lo si caccia fuori dai propri confini o lo si annienta, poi ci si divide, ci si scontra, si regolano i conti interni. La guerra col nemico terremoto era ancora in corso, e già si sparava sul quartier generale!!!
C’è un tempo per ogni cosa: sarebbe bastato che Santoro posticipasse la sua trasmissione di una settimana, e non ci sarebbe stato nulla da eccepire, almeno sotto il profilo della correttezza e del rispetto di una comunità nazionale impegnata a reagire ad una sciagura di così vaste proporzioni: finita la conta dei morti, fatti i funerali, apprestati i primi soccorsi, sotto a chi tocca, facciamo l’esame spietato dei problemi e delle responsabilità.
Il che non significa che Santoro doveva rinunciare al suo “Annozero” nella settimana del terremoto, tutt’altro. Avrebbe potuto fare una trasmissione con un taglio diverso, più da servizio pubblico, per esempio mandando i suoi inviati invece che nella comoda Piazza d’Armi a fare domandine pilotate per ottenere risposte funzionali alla tesi su cui è stata costruita la trasmissione, su nei dintorni de L’Aquila, tra le contrade ed i paesi di più difficile accessibilità, facendo vedere agli italiani le condizioni dei terremotati meno esposti ai riflettori dei media ( e quindi più facilmente trascurati); magari descrivendo i problemi di un’economia rurale, agricola ed artigiana totalmente paralizzata e messa in ginocchio dal sisma ( il primo servizio degno di questo nome sull’argomento l’ho visto su La7 sabato di Pasqua); e tutto ciò non per criticare o cercare colpevoli, ma per sensibilizzare, suggerire – con l’emergenza in corso – la necessità di far fronte a bisogni non adeguatamente attenzionati dai responsabili politici e dalla stessa Protezione civile: questo sì sarebbe stato un modo per fare informazione militante ( come piace a Santoro) ma nel contempo solidale (come richiedeva l’emergenza in corso e la sensibilità del Paese).
Infine un’ultima annotazione: tra gli invitati alla trasmissione c’erano De Magistris - pm in corsa per il Parlamento europeo con Di Pietro - e Claudio Fava – esponente di spicco della nuova lista Sinistra e Libertà. La domanda è: perché loro due? Si tratta di due esponenti politici con una qualche competenza e/o esperienza specifica in materia di terremoti? De Magistris è un magistrato che nel corso della sua attività ha fatto inchieste post terremoto, in zone soggette a ricostruzioni, ecc.? Claudio Fava è stato sindaco di qualche città che ha subito terremoti o calamità? E’ stato componente di organismi tecnici e/o istituzionali che si sono occupati della protezione civile? Niente di tutto questo. Ed allora, i due che c’azzeccavano nella trasmissione? Erano lì per dare un contributo qualificato sull’argomento o solo perché Santoro gli vuole tirare la volata elettorale, facendoli uscire dall’anonimato di una campagna per le europee quanto mai difficile? Per me, la seconda che ho detto : e questa è un’altra delle cose sgradevoli di quella trasmissione.

1 commento:

  1. Probabilmente farsi guidare dalla voglia di colpire fa perdere di vista il vero obiettivo di un giornalismo corretto:informare. Santoro, che pur sarebbe in grado di svolgere il suo lavoro bene, si lascia prendere la mano, non resiste alla possibiità di guidare una parte dell'opinione pubblica nella direzione della critica per la critica,sterile, fine a se stessa. Lascia senza parole vedere un'Italia allo sbando, in cui non si coglie una linea, una direzione chiara, la voglia di cambiare. Mi chiedo: ho/abbiamo veramente voglia di rialzare la testa?

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