martedì 24 febbraio 2009

Veltroni,il PD e i troppi "ma anche"

C'e una espressione che mi ha particolarmente colpito quando è nato il Partito democratico: “Riformismo radicale”. Sono, infatti,sempre più convinto che è di questo che il Paese ha bisogno: un riformismo vero,basato sui valori "storici" della sinistra democratica: giustizia,solidarietà,equità,merito.
Veltroni , per storia politica e personale, sembrava il leader giusto per dare gambe a questo progetto. La stessa investitura attraverso le primarie ed i contenuti della sua proposta politica parevano confermare questa possibilità.
Nessuno può negare che la nascita del PD veltroniano abbia avuto l'effetto di suscitare in una larga fetta dell'elettorato di centrosinistra la speranza di un grande cambiamento. E qui sta,a mio avviso,la principale colpa di Veltroni e del PD: aver deluso quei milioni di cittadini che non ne possono più della vecchia politica e di vedere un Paese che, per parafrasare due fortunati libri di Gian Antonio Stella,è prigioniero di troppe "caste" che lo stanno portando alla "deriva".
Voglio citare, a tale proposito, tre esempi di speranze tradite.
1) Il precariato.L'argomento è stato uno dei cavalli di battaglia della campagna elettorale di Veltroni; sul tema del precariato e del lavoro per i giovani nessuna proposta concreta è però venuta dal PD,malgrado il partito abbia al suo interno fior di giuslavoristi,come Pietro Ichino, che da tempo vanno proponendo l'unica soluzione in grado di coniugare in maniera ragionevole le esigenze di flessibilità del mercato del lavoro con la tutela dei giovani : l'introduzione del contratto unico a tempo indeterminato, con possibilità di licenziamento da parte delle imprese ma anche con tutele crescentiper i giovani con il passare del tempo e un sistema efficace e generalizzato di ammortizzatori sociali (la cosiddetta "flexsecurity"). Nè alcuna iniziativa concreta e venuta dal PD sull'altro versante decisivo per l'accesso dei giovani al mercato del lavoro: la liberalizzazione delle professioni, con la conseguente abolizione degli ordini professionali e lo smantellamento dei privilegi che tutelano le varie "caste" professionali e favoriscono in molti settori la trasmissione "ereditaria" o per cooptazione della professione.
2) I costi della politica. Anche su questo versante, molte chiacchiere e niente fatti. Eppure sarebbe bastato essere coerenti con gli impegni elettorali, per esempio avanzando una proposta concreta di abolizione delle Provincie ed altri enti non indispensabili, quantificando i relativi risparmi e proponendo che tali somme fossero destinate a creare ammortizzatori sociali per i giovani precari. Sui costi della politica ha fatto molto di più il tanto vituperato Brunetta, con la riduzione per legge delle consulenze nella PA, che tutto il centrosinistra con le sue chiacchiere.
3) L'organizzazione deł partito. Non so cosa è successo al nord, ma in Calabria le cosiddette "primarie" per l'elezione dei segretari provinciali si sono svolte seguendo gli schemi classici dell'intesa preventiva tra i capicorrente.Dietro la foglia di fico dell'unità e della concordia, abbiamo assistito ai riti tribali della vecchia politica : niente a che vedere, insomma, con i propositi di cambiamento e di rinnovamento più volte sbandierati.

Naturalmente, se Veltroni ed il PD avessero imboccato la strada del "riformismo radicale", non pochi sarebbero stati i conflitti e le tensioni interne al partito e con i mondi di riferimento (basti pensare alla posizione della CGIL sul contratto unico e la conseguente abolizione dei vincoli al licenziamento).
E tuttavia, i fatti hanno dimostrato che con l'ambiguità,il traccheggiamento, i troppi "ma anche" non si va da nessuna parte, e poco alla volta si perdono per strada anche quanti avevano sperato che con il PD la politica in Italia potesse cambiare marcia.

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